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Conclusioni Le virtù della psicologia concreta e i problemi che essa pone 1. Abbiamo studiato nella Traumdeutung la psicanalisi allo scopo di trarre da questo studio un insegnamento per la psicologia. Abbiamo trovato nel freudismo un'ispirazione nuova, contraria a quella della psicologia classica, ed abbiamo allora fatto vedere come la vera contraddizione fra la psicanalisi e la psicologia ufficiale sia la contraddizione fra due forme irriducibili della psicologia: la psicologia astratta e la psicologia concreta. Approfondendo il modo in cui Freud pone i problemi e concepisce il suo metodo siamo arrivati a dedurre quali siano le principali caratteristiche della psicologia concreta, e, una volta che ci siamo impadroniti delle sue esigenze, esse ci hanno permesso di scoprire i procedimenti fondamentali della psicologia classica, quali il realismo, il formalismo, e l'astrazione. 2. Le precisazioni che abbiamo potuto ottenere, con l'aiuto della psicanalisi, sulle esigenze della psicologia concreta, si sono rivelate come uno strumento di critica efficace nell'esame della psicologia astratta. Accade tuttavia che questa psicologia concreta, scaturita dalla psicanalisi, debba cominciare a rivoltarsi contro quest'ultima e servire come base teorica per una critica all'interno: abbiamo dovuto, infatti, constatare in Freud, soprattutto nel momento dell'elaborazione teorica dei fatti, un chiaro ritorno all'astrazione. Questo ritorno è nettissimo, e noi ne abbiamo constatato l'esistenza non solo con le nostre osservazioni sulle nozioni che Freud introduce nella Traumdeutung, ma soprattutto dimostrando come soltanto i procedimenti classici permettano di dare un senso all'ipotesi dell'inconscio. Abbiamo ritrovato così anche all'interno della psicanalisi la contrapposizione fra la psicologia concreta e la psicologia astratta. 3. Affinché però la constatazione di questa dualità non si rivoltasse contro la nostra impresa, abbiamo dimostrato non solo che gli “errori freudiani” rappresentano una tappa necessaria nello sviluppo della psicologia concreta, ma anche che la psicologia concreta, quale essa scaturisce dalla psicanalisi, può fare assai più che concepire un ideale scientifico e formulare delle esigenze, dal momento che essa è già viva nel momento attuale, poiché esiste nella stessa psicanalisi un certo numero di nozioni e di spiegazioni che, essendo integralmente conformi con le esigenze della psicologia concreta, dimostrano con ciò la sua vitalità. 4. Abbiamo espresso, cammin facendo, l'opinione secondo cui la psicologia concreta quale noi la concepiamo è precisamente quella che è chiamata a realizzare l'antico sogno di una psicologia positiva, poiché soltanto essa ha compiuto quella riforma radicale dell'intelletto che è implicita nell'atteggiamento veramente scientifico, e della quale gli psicologi classici hanno voluto fare economia sostituendole un'imitazione puramente esteriore dei metodi scientifici. Questa “riforma dell'intelletto” di cui parliamo consiste essenzialmente nel fatto che, una volta formulate le esigenze della psicologia scientifica, bisogna andare fino in fondo, senza riserve e senza pietà. Perché non basta formulare delle esigenze. Delle esigenze cui non corrisponda alcuna realtà non significano nulla, ed è solo più tardi, una volta che esse saranno realizzate, che coloro che le avevano formulate acquisteranno il merito di aver sognato la verità. Gli psicologi classici, appunto, confondono ad ogni momento le esigenze con la loro realizzazione. E, nei fatti, la loro psicologia non ha mai potuto adempiere alle esigenze di una psicologia positiva, quali esse sono state formulate nel momento della nascita della psicologia moderna. Ecco perché la psicologia positiva non esiste nella psicologia ufficiale del giorno d'oggi se non come un sogno. 5. Sarebbe sufficiente, per dimostrare questo punto, riferirci ad alcuni dei punti da noi sviluppati precedentemente, e con i quali abbiamo dimostrato come i procedimenti della psicologia classica non possano avere alcun significato psicologico. Com'è infatti possibile chiamare scienza psicologica un insieme teorico al quale non corrisponde alcuna realtà psicologica? Questa dimostrazione sarà ancor più valida quando ci si sarà resi conto della verità della psicologia concreta. Ma, per il momento, visto che siamo ben lontani da ciò, le si può rimproverare di essere puramente formale: dal momento che noi intendiamo per psicologia il contrario della psicologia classica, è naturale, infatti, che i procedimenti di quest'ultima non possano avere alcun senso “psicologico”. Ecco perché bisogna far vedere qui ancora una cosa: bisogna far vedere appunto come la psicologia concreta sia la prima psicologia positiva, perché è l'unica che è riuscita a risolvere quel problema che è stato posto, ma che malgrado il numero dei tentativi e la loro diversità non è mai stato risolto, dalla psicologia classica: soddisfare alle condizioni di esistenza di una psicologia positiva. 6. Queste condizioni di esistenza sono tre: 1 ) La psicologia deve essere una scienza a posteriori, cioè lo studio appropriato di un gruppo di fatti; 2) Essa deve essere originale, cioè studiare dei fatti irriducibili agli oggetti delle altre scienze; 3) Deve essere oggettiva, e cioè, in altri termini, deve definire il fatto ed il metodo psicologici in modo tale che siano a tutti gli effetti, a pieno diritto, a pieno titolo universalmente accessibili e verificabili. Ora, basta gettare un colpo d'occhio sulla storia della psicologia negli ultimi cinquant'anni e ricordarsi per mezzo di quali critiche si sono vicendevolmente distrutte le tendenze antagonistiche, per vedere subito come finora non sia mai stato enunciato un programma psicologico che potesse soddisfare a queste tre condizioni contemporaneamente. Si è invece sempre cercato, generalmente, di risolvere il problema sacrificando ora la condizione 2, ora la condizione 3. L'esatta dimostrazione di questo punto non sarebbe altro che uno sfoggio di erudizione. È noto, infatti, che gli psicologi introspezionisti hanno sacrificato la condizione 3, e gli oggettivisti la condizione 2, e cioè che nella misura in cui i primi sono riusciti a salvaguardare il carattere puramente psicologico dell'oggetto della psicologia, lo hanno privato di ogni realtà scientifica, e che i secondi sono riusciti a mettere alla base della psicologia dei fatti reali solo sacrificando appunto ciò che è proprio della psicologia. Si va così a cadere in psicologie che, non possedendo, per così dire, se non la metà della loro essenza, sono incapaci di soddisfare alla prima condizione: non possono essere psicologie a posteriori, dal momento che sono appunto costrette, come fanno i fautori della psicologia fisiologica, a sostituire con dei miti quella scienza, che essi sognano, ma che non sono in grado di realizzare. Perciò le psicologie in questione devono rivelarsi, di volta in volta, insufficienti, ma dal momento che persiste sempre l'impossibilità di soddisfare contemporaneamente a quelle due condizioni, si tenta di risolvere il problema inventando introspezioni o oggettività inedite. Ecco perché la psicologia mostra quell'oscillazione scoraggiante fra l'introspezione e l'oggettività che caratterizza la sua storia da cinquant'anni a questa parte. 7. Se ricerchiamo ora la spiegazione di questa impotenza fondamentale, troviamo l'influenza del realismo psicologico. Per la psicologia introspezionistica classica, scaturita direttamente dal realismo, il fatto psicologico è un dato semplice, che si riferisce ad una realtà percettibile e che si chiama appunto psichico. Ciò che è proprio dei fatti psicologici è allora dato precisamente dalla partecipazione a quella realtà che costituisce un mondo o una vita nello stesso senso della natura, ma che gode di proprietà opposte. Gli psicologi oggettivisti, se è vero che hanno protestato contro lo stesso realismo psicologico, non hanno cercato di liberarsi che della forma tecnica del realismo, ma non dell'atteggiamento fondamentale da cui esso scaturisce: hanno cercato anche essi di definire il fatto psicologico come un dato semplice che si riferisce ad una realtà percettibile, e giungendo fino ad accettare l'alternativa classica fra spirito e materia, si sono trovati di fronte all'esigenza di cercare il fatto psicologico nei dati della percezione esterna. 8. Bisogna d'altronde aggiungere che gli psicologi che per primi avevano auspicato la psicologia oggettiva non sono neppure riusciti ad eliminare la forma tecnica del realismo. Essi hanno creduto, infatti, che bastasse istituire una qualsiasi relazione di corrispondenza tra i fatti psicologici da un lato, e i fatti esterni dall'altro, perché fosse risolto il problema dell'oggettività. Non si sono accorti che un tentativo di questo genere non poteva essere altro che una vasta ignoratio elenchi, ed una petizione di principio. Ignoratio elenchi, perché non si tratta di sapere quale sia il volto oggettivo dei fatti della psicologia classica, ma quale risultato possa dare lo studio oggettivo dello psichico stesso; e petizione di principio, perché prima di cercare di studiare il volto oggettivo dei fatti psicologici nel senso classico della parola, si tratta di sapere se, appunto, lo studio oggettivo dei fatti psico-logici non approderà ad un risultato del tutto diverso. Cercando di studiare “dal di fuori” i fatti psicologici, gli psicologi in questione hanno accettato tali e quali i dati della psicologia classica, mentre era proprio un compito della nuova psicologia rimetterli in discussione. In realtà è esistito un solo tentativo sincero di psicologia oggettiva: il behaviorismo, quale esso risulta dalle idee fondamentali di Watson. Ci sono voluti cinquant'anni e i successivi fallimenti di Wundt, Bechterev e altri, e la rivelazione del carattere mitologico della psicologia fisiologica quando essa va al di là della fisiologia delle sensazioni, perché dallo studio del comportamento animale scaturisse finalmente una concezione positiva nel senso più rigoroso della parola. Il grande merito di Watson, e noi l'abbiamo detto fin dall'inizio, è quello di aver finalmente capito che l'ideale della psicologia, come scienza della natura, implicava una rinuncia, assoluta e senza condizioni, alla vita interiore. Fino ad allora le psicologie oggettive erano state tali soltanto nelle premesse, ed avevano l'abitudine di reintrodurre come loro parte integrante, con maggiore o minore ingenuità, le nozioni introspettive. Watson ha capito che l'atteggiamento sinceramente scientifico esigeva che si facesse tabula rasa di tutto ciò che è introspezione e spiritualità, ed a lui è riuscito di fare ciò che non era riuscito ai più grandi campioni della psicologia oggettiva: pensare fino in fondo all'esigenza dell'oggettività in psicologia. In tal modo il behaviorismo comporta una rivelazione di valore definitivo, e cioè che i suoi predecessori nella psicologia oggettiva, i Wundt, i Bechterev e gli altri sono paragonabili a dei peripatetici che vorrebbero pesare il diafano e studiare per mezzo della stroboscopia il passaggio dalla potenza all'atto. Ma per quanto giunga a presentare una concezione della psicologia finalmente conforme all'ideale dell'oggettività, il tentativo di Watson è viziato dalla stessa insufficienza dei precedenti: salva sì l'oggettività, ma perde la psicologia. Se ne ha una prova nel fatto che, non appena Watson ha cominciato a trarre le conseguenze dalla sua scoperta, subito gli psicologi americani si sono messi alla ricerca di un “behaviorismo non fisiologico”. Infatti, ciò che può interessare il behaviorismo nel vero senso della parola è soltanto il comportamento ed il suo meccanismo osservato dall'esterno. Ma allora la psicologia diventa talmente oggettiva che, per così dire, annega nell'oggettività, e tutto ciò che il behaviorismo potrebbe insegnarci starebbe sul piano della meccanica animale. Si tratta di una soluzione disperata; il behaviorismo sopprime l'enigma dell'uomo e, anch'esso, non può mettere al suo posto, proprio perché ha eliminato ciò che è proprio del fatto psicologico, altro che delle promesse. Donde l'impotenza del behaviorismo in quanto psicologia, ed il problema del behaviorismo non fisiologico. 9. E qui, ancora una volta, l'impotenza è dovuta al fatto che, nel modo stesso in cui viene posto il problema, quello che opera è l'atteggiamento propulsore del realismo classico. Dopo aver capito, e questa volta con precisione, che la vita interiore era incompatibile con l'oggettività, Watson si è semplicemente rivolto alla percezione esterna. Certo, come vedremo fra poco, il suo dato oggettivo è meno semplicista di quello dei suoi predecessori, ma resta il fatto che anche lui ha accettato l'alternativa “dentro o fuori”, con la sola differenza che il “fuori”, questa volta, ha più carattere biologico che fisiologico. 10. Ciò che dunque fa sì che la psicologia non possa costituirsi in scienza positiva è il fatto che, potendo soddisfare solo parzialmente alle sue condizioni di esistenza, essa è prigioniera dell'antitesi fra l'oggettività e la soggettività. Per uscirne sarebbe necessario qualcosa di ben diverso da quell'eclettismo volgare che oggi caratterizza lo psicologo medio; sarebbe necessaria una sintesi nel vero senso della parola. E se la psicologia classica è incapace di realizzare una tale sintesi, è per il fatto che essa crede che il fatto psicologico debba essere un dato percettivo. Non si può far altro, allora, che scegliere fra l'alternativa classica della percezione interna o della percezione esterna, oppure far ricorso ad entrambe, il che significa chiaramente ignorare il soggetto. Per superare l'antitesi classica, sarebbe stato necessario rinunciare a vedere il fatto psicologico attraverso una qualsiasi percezione, ed acconsentire a mettere alla base della scienza psicologica un atto di conoscenza con una struttura più elevata della semplice percezione. Era questo l'unico mezzo per soddisfare contemporaneamente alle condizioni dell'originalità e dell'oggettività, per trovare cioè un campo originale ed oggettivo, senza che questa originalità sia quella di una “materia” nuova e senza che questa oggettività sia quella della materia fisica; in poche parole, questo è l'unico mezzo per sfuggire all'alternativa fra il “dentro” e il “fuori”. 11. La psicologia concreta, avendo abbandonato il realismo insieme all'atteggiamento fondamentale che è in esso implicito, ha trovato nel dramma umano un gruppo di fatti che soddisfano alle condizioni che abbiamo enunciato; essa si presenta perciò come una vera sintesi della psicologia soggettiva e della psicologia oggettiva. Scegliendo come campo di studio il dramma, l'atto costitutivo della scienza psicologica non è più una percezione qualsiasi. Non lo è la percezione esterna, perché i suoi dati non sono ancora dei fatti psicologici, né la percezione interna, perché i suoi dati non sono più dei fatti psicologici. Infatti, un gesto che io compio è un fatto psicologico per il fatto che costituisce un segmento del dramma rappresentato dalla mia vita. Il modo in cui esso si inserisce in questo dramma viene conosciuto dallo psicologo attraverso il racconto che io posso fare a proposito di quel gesto. Ma è il gesto chiarito attraverso il racconto che costituisce il fatto psicologico, e non il gesto di per sé, né il contenuto realizzato del racconto. Il gesto ha, certo, un meccanismo fisiologico, ma questo meccanismo non ha ancora nulla di umano; non può dunque interessare lo psicologo, non è ancora psicologico. D'altra parte, il contenuto del racconto che io posso fare a proposito del mio gesto implica, se visto attraverso la psicologia classica, delle descrizioni statiche o dinamiche, ma neppure queste descrizioni mi interessano. Esse, infatti, implicano l'abbandono del significato a vantaggio del formalismo e degli altri procedimenti che abbiamo descritto, e se la considerazione del meccanismo puramente fisiologico del mio gesto è al di qua del punto di vista psicologico, le descrizioni introspettive sono al di là: il punto di vista dello psicologo è quello che coincide con il dramma. 12. In via generale, la percezione esterna non può darci altro che l'intelaiatura puramente materiale del dramma, e per di più è necessario, perché le cose stiano così, che il dato esterno venga definito alla maniera di Watson, cioè attraverso il comportamento. Ma il fatto psicologico non è il comportamento semplice, bensì appunto il comportamento umano, cioè il comportamento in quanto sia riferito, da un lato, a quegli avvenimenti in mezzo ai quali si svolge la vita umana, e, dall'altro, all'individuo, in quanto egli è il soggetto di tale vita. In breve, il fatto psicologico è quel comportamento che ha un significato umano. Solo che per costruire questo significato abbiamo bisogno di dati che ci vengono forniti dal soggetto e che ci pervengono attraverso la mediazione del racconto: il comportamento semplicemente motorio diventa dunque fatto psicologico solo dopo essere stato chiarito dal racconto. In tal modo la constatazione del comportamento umano risulta, per lo psicologo, non quella di una semplice percezione, ma quella della percezione resa complicata da una comprensione, e di conseguenza il fatto psicologico non è un dato semplice: in quanto oggetto di conoscenza, esso è essenzialmente un dato costruito. 13. Non si può dire, d'altra parte, che il “significato del dramma” ci venga dato solo dall'esperienza interna che il soggetto ha dei propri comportamenti, e che, di conseguenza, se noi possiamo andare al di là della semplice percezione esterna del comportamento motorio per raggiungere il comportamento umano, ciò avvenga perché, per così dire, dall'altro lato, ci viene rivelata la faccia interna del comportamento. È evidente che qui si fa allusione al racconto che l'individuo può farsi a proposito del proprio comportamento. Ma il racconto in questione è essenzialmente un racconto significativo, e la psicologia se ne occupa solo nella misura in cui esso chiarifica il dramma. Per vedere nel racconto qualcosa di diverso dai materiali destinati a chiarificare il dramma, occorrerebbe compiere l'astrazione, realizzare il significato e studiare dal punto di vista formale il significato così realizzato. Ora, ciò che caratterizza la psicologia concreta è il fatto che essa non compie tali procedimenti: essa non abbandona il piano del dramma e considera il racconto come un semplice contesto che non ci fa penetrare nella vita interiore, ma che ci fa capire un dramma che si svolge sotto i nostri occhi. In breve, il fatto psicologico non può risultare neppure dalla percezione interna, poiché questa implica già l'abbandono del punto di vista propriamente psicologico, ed è il meno che si possa dire, dal momento che, alla fine dell'analisi, essa si rivela una pura illusione. 14. Dal momento che il fatto psicologico non è un dato percettivo, ma il risultato di una costruzione, è facile dimostrare come esso sia originale e propriamente psicologico senza essere interiore, e come sia oggettivo senza essere materia o movimento. Il dramma è originale. Infatti esso non ha nulla a che fare con la materia ed il movimento puri e semplici. L'estensione, il movimento o anche l'energia, con tutti i loro stati e tutti i loro processi, non sono sufficienti per costituire il dramma. Il dramma infatti implica l'uomo preso nella sua totalità e considerato come il centro di un certo numero di avvenimenti che, proprio perché si riferiscono ad una prima persona, hanno un significato. E’ proprio il significato riferito ad una prima persona ciò che distingue radicalmente il fatto psicologico da tutti i fatti della natura. In poche parole, l'originalità del fatto psicologico è data dall'esistenza stessa di un piano propriamente umano e della vita drammatica dell'individuo che in esso si svolge. Solo che il dramma non è affatto “interiore”. Il dramma, infatti, nella misura in cui richiede un luogo, si svolge nello spazio come il movimento ordinario, come, in generale, tutti i fenomeni della natura. Infatti il posto in cui mi trovo attualmente non è semplicemente il luogo della mia vita fisiologica e della mia vita biologica, ma è altresì il luogo della mia vita drammatica, e, per di più, le azioni, i delitti, le follie si svolgono nello spazio, esattamente come la respirazione e le secrezioni interne. Ë vero, d'altra parte che lo spazio non può contenere altro che l'intelaiatura del dramma: l'elemento propriamente drammatico non è più spaziale. Solo che non è nemmeno interiore, dal momento che non è nient'altro che il significato. Ora, quest'ultimo non ha e non può aver luogo da nessuna parte: non è né interiore, né esterno, è al di là o piuttosto al di fuori di queste possibilità, senza che ciò comprometta minimamente la sua realtà. 15. Se il dramma non è né esterno né interno nel senso spaziale del termine, esso è tuttavia “esterno” nel senso logico. È infatti dal di fuori che lo psicologo si avvicina al dramma e tenta di capirne il senso ed il meccanismo; il dramma si erge di fronte a lui come una qualsiasi altra realtà; egli deve esplorarlo così come si esplora la natura. Per questo motivo il fatto psicologico è oggettivo, anche se questa oggettività non è quella della percezione esterna. Infatti, se il fatto psicologico è oggettivo, non è per il fatto che esso abbia un'estensione o perché sia misurabile, ma perché sul piano del realismo empirico della scienza esso è esterno all'atto di conoscenza che lo affronta: gli è persino, da questo punto di vista, trascendente; ha una sua propria dialettica e non può esser conosciuto se non in modo mediato e con l'aiuto dei dati del racconto. In altri termini, il fatto psicologico è oggettivo non perché si confonda con l'oggetto delle scienze della natura e sia ciò che esse sono, ma perché si comporta nel loro stesso modo nei confronti della conoscenza. Per questo fatto i dati della psicologia concreta, senza essere sperimentati nel senso volgare della parola, sono, di diritto, universalmente accessibili e verificabili. Chiunque può, infatti, intraprendere, con l'aiuto del metodo del racconto, la descrizione e l'analisi del dramma. 16. È dunque con ragione che abbiamo affermato che la psicologia concreta rappresenta la vera sintesi fra la psicologia oggettiva e la psicologia soggettiva. Dà ragione alla prima per aver preteso dalla psicologia l'oggettività, e alla seconda per aver voluto conservare il carattere proprio della psicologia, ma condanna entrambe per aver sacrificato tutto ciò che non rappresenta altro che una delle condizioni di esistenza della psicologia positiva. Realizza tutt'insieme ciò che nessuna delle due ha potuto fare: una psicologia oggettiva, ed insieme psicologica nel senso proprio della parola. La realtà del fatto psicologico, quale esso è definito dalla psicologia concreta, è liberata da ogni alone metafisico. La sua affermazione non implica l'esistenza di una nuova essenza nel senso realista del termine, ma semplicemente quella di un gruppo di fatti che non ci riconducono più in alcun modo all'antitesi classica fra spirito e materia: la psicologia non conosce né l'uno né l'altra, conosce soltanto il dramma. I fatti psicologici ci mettono dunque di fronte ad un mondo nuovo, ma che è un mondo di conoscenze e non un mondo di entità e di processi sui generis-, la psicologia non ci apre le porte di una realtà che possa essere contrapposta o giustapposta alla natura. In poche parole, la psicologia concreta non conosce la materia psichica e — cosa che è infinitamente più importante — non si accontenta della negazione puramente formale della tesi, ma elimina tutti i procedimenti che la generano o che da essa derivano. In tal modo, la psicologia cessa di essere la scienza della vita interiore. 17. Il fatto che la psicologia concreta sia una sintesi fra la psicologia oggettiva e la psicologia soggettiva è una constatazione importante quando si tratta di far vedere con precisione il suo orientamento fra le tendenze della psicologia contemporanea. Ma questa, per così dire, non è altro che una virtù classica. La constatazione di gran lunga più importante, perché non riguarda soltanto le condizioni della sua nascita, ma il modo in cui, una volta nata, essa deve orientarsi, è che la psicologia concreta è una psicologia senza vita interiore. Questa è la virtù veramente fondamentale della psicologia concreta; questa è infatti essenzialmente una psicologia che rinuncia a tutti i procedimenti con l'aiuto dei quali il dramma umano può venir trasformato in “vita interiore”. È a questo fatto che essa deve la sua attuale fecondità e tutto il suo avvenire dipende dalla coerenza e dal vigore con cui essa potrà mantenersi in questa strada. Perché non è difficile distinguere il comportamento umano dal comportamento semplicemente fisiologico o biologico. Ciò che è infinitamente difficile e che lo rimarrà fino alla scomparsa di questa generazione allevata nell'ideologia della psicologia astratta, è il riuscire a non confondere il dramma con la vita interiore, o piuttosto a non rispondere a tutte le domande che il dramma ci pone e che ci conducono necessariamente alla vita interiore. 18. Per conoscere il significato del dramma, bisogna ricorrere al racconto del soggetto. Il contenuto del racconto, visto attraverso la psicologia classica, implica le celebri nozioni di immagini, di percezione, di memoria, di volontà, di emozione, ecc., l'indagine delle quali costituisce, anche per uno psicologo che concepisce la necessità della psicologia concreta, una pericolosa tentazione. Io chiudo gli occhi e vedo Place de la Concorde con l'Obelisco in mezzo. La tentazione di descrivere questa visione e di farne un oggetto di ricerca è irresistibile. Ed è la stessa tentazione che compare a proposito di tutte le “implicazioni” del racconto. Ed è a questo punto che bisognerà fare attenzione, poiché si tratta di trattenersi proprio sull'orlo della china di questa implicazione. Infatti, qualunque siano le questioni che si pongono a proposito del racconto, la psicologia, tanto per cominciare, non deve interessarsi ad altro che al suo contenuto, cioè al suo significato. Il significato dei comportamenti umani può essere conosciuto solo grazie al fatto che l'uomo si esprime con la parola, o, se si vuole, grazie al fatto che pensa. Ma ciò che interessa allo psicologo non è più il pensiero in se stesso, non è il pensiero che egli deve cercare di cogliere attraverso alle sue incarnazioni: egli non deve, per effettuare questa ricerca, fare astrazione dal significato, perché è proprio questo che interessa alla psicologia. 19. In via generale, dunque, le forme del pensiero, gli stati di coscienza, in breve il mondo in cui si muove la psicologia introspettiva, costituiscono un campo che si trova posto al di là del dramma. È dunque necessario che lo psicologo diffidi. Questo campo infatti, proprio perché è al di là del dramma, costituisce, in rapporto alla psicologia concreta, una metapsicologia nella quale lo psicologo, nel senso positivo della parola, non deve lasciarsi trascinare. Faccio un gesto. Capisco facilmente che il suo meccanismo fisiologico non ha nulla a che vedere con la psicologia. Ma, mentre compio il gesto, ho dei pensieri che costituiscono come la fodera spirituale di questo gesto, ed è grande la tentazione di immergersi nello studio “disinteressato” della “fodera”. È allora che bisognerà capire che io sono uno psicologo e non un metapsicologo. I pensieri in se stessi non possono dunque interessarmi. Io, al contrario, posso fare, a proposito di questo gesto, un racconto che mi rivela il significato del gesto, i suoi termini esatti dal punto di vista umano e individuale: ecco che cosa interessa allo psicologo. Il primo dovere dello psicologo concreto è dunque quello di acquisire un riserbo nei confronti della metapsicologìa. Ma il punto di vista della psicologia introspettiva è così profondamente ancorato in noi che dubitiamo persino della legittimità dello sforzo che è necessario per superarlo e per opporgli una resistenza. Bisogna allora sapere due cose. Innanzitutto che le scienze che oggi sono ritenute positive sono potute diventarlo solo sacrificando un certo numero di cose evidentissime. Così la fisica moderna doveva sormontare le cose evidenti della visione aristotelica del mondo, ed è grazie ad un addestramento che è durato dei secoli che il fisico ha potuto abituarsi alla visione quantitativa della natura. La stessa cosa vale per la psicologia. La vittoria sulla metapsicologia dell'anima-sostanza non era nulla, o, se si preferisce, era solo un inizio. Ciò che occorre è la vittoria sulla metapsicologia della vita interiore. E, in secondo luogo, bisogna sapere che, sacrificando le cose evidenti, non si sacrificano che dei falsi problemi. Infatti una parte delle cose evidenti da sacrificare si rivela — ed abbiamo tentato di dimostrarlo nel corso della presente opera, come continueremo a fare nelle successive — come l'effetto di una “illusione trascendentale”. Certamente ne esistono di quelle che potranno essere recuperate, poiché sembrano legate a dei fatti reali. Così, ad esempio, il “racconto” implica la “memoria”, e ci sembra impossibile non studiare quest'ultima. Ma bisogna sapere che non è la memoria quella che interessa allo psicologo concreto, bensì il ricordo in quanto esso chiarifica il dramma, ed essendo quest'ultimo l'oggetto primo della psicologia, la memoria stessa non sembrerà più altro che come una lontana supposizione. Comunque sia, occorre innanzitutto adottare risolutamente l'atteggiamento della psicologia concreta con tutte le sue conseguenze, e solo in seguito affrontare certe parti della psicologia astratta attuale, il cui sacrificio sembra oggi arbitrario. Solo allora si potrà vedere se i problemi in questione possono o no avere un significato concreto. In poche parole, per la generazione davanti alla quale si compie un progresso scientifico, sembra impossibile la vittoria sulle cose evidenti classiche, e coloro che ne auspicano la necessità sono destinati loro stessi a ricadérvi di quando in quando. Il fatto è che la trasformazione delle cose evidenti avviene a poco a poco, ma con sicurezza, e, per la generazione seguente, il problema si pone appena, e tutto le appare in una luce nuova. 20. Ciò che la presente ricerca ci insegna sulla psicologia concreta non riguarda ancora altro che la sua necessità e la sua vitalità, ma l'idea che ce ne siamo fatti finora deve essere approfondita. Questo approfondimento non deve essere né a priori, né lasciato al caso. Esso deve essere fatto, da un lato, esaminando, con l'aiuto di quel filo conduttore che è costituito dalla nostra presente concezione della psicologia concreta, quelle tendenze della psicologia contemporanea che denotano già un orientamento concreto; e, dall'altro lato, adottando il quadro dei problemi che scaturiscono dalla psicologia concreta quale noi l'abbiamo qui posta. 21. La psicologia concreta ci orienta innanzitutto verso il behaviorismo. Ci siamo serviti frequentemente in quest'opera del termine “comportamento” e l'abbiamo trovato completamente di nostro gusto. Per di più abbiamo visto, fin dalla nostra introduzione, che attribuiamo al tentativo di Watson un'importanza capitale. La ragione sta nel fatto che anche il behaviorismo deve la sua esistenza a un'ispirazione concreta. Dimentichiamo, infatti, l'aspetto sensazionale e scandaloso del behaviorismo, cioè la negazione radicale e veramente spietata della coscienza, dell'introspezione e di tutte le nozioni introspettive, per fermarci soltanto a questa proposizione fondamentale: “Il fatto psicologico è il comportamento”. Se poi prescindiamo dall'interpretazione di Watson che si racchiude interamente nella concezione puramente fisiologica della coppia “stimolo-risposta”, scopriamo che il comportamento è davvero un segmento della vita dell'individuo particolare. Affermare, infatti, che il fatto psicologico è il comportamento, significa rinunciare a ricostruire l'uomo attraverso la combinazione di un insieme di concetti di origine più o meno sospetta, come sensazione, memoria, volontà, carattere, ecc.; significa affermare la necessità di partire da ciò che è veramente reale, dal momento che il comportamento non è nient'altro che un ritaglio (coupure) nello svolgersi continuo della vita dell'uomo. In breve, Watson vuol partire anche lui dal tutto e ricostruire il concreto con il concreto, e non con l'aiuto dell'astratto. Questa non è un'interpretazione arbitraria del watsonismo. Watson stesso si rende perfettamente conto del carattere concreto della nozione di behavior. È noto quanto egli insista sulla necessità di considerare l'organismo as a whole, e di rinunciare alle fratture tradizionali fra( la psicologia e la fisiologia. Ora, considerare l'uomo as a whole, studiarlo nelle sue evoluzioni concrete, cioè nei suoi comportamenti, applicare questo punto di vista fino in fondo implica, qualunque sia l'interpretazione finale del termine behavior, una riforma completa dell'oggetto e delle nozioni della psicologia classica. 22. In tal modo si viene a giustificare l'inatteso accostamento che noi facciamo fra il behaviorismo e la psicanalisi. Entrambi comportano una rivolta contro l'astrazione, che è la caratteristica fondamentale della psicologia classica: si tratta di due tentativi di introdurre l'analisi concreta in una disciplina che fino allora non aveva conosciuto altro che astratte fantasticherie. Al di là della biologia da un lato, e al di là della psichiatria dall'altro, la psicanalisi e il behaviorismo si ricongiungono dunque nella comune avversione nei confronti dell'astrattezza, e nello sforzo di ripartire da ciò che, sul piano che è particolare a ciascuno di essi, sembra loro essere la vita concreta dell'uomo. Certamente il comportamento umano va molto al di là della nozione watsoniana di behavior. Non solo perché quest'ultimo non è ancora il dramma, perché può costituirne tutt'al più la struttura, ma anche perché il modo in cui il dramma è “strutturato” comporta tutti i gradi, che vanno da una regia interamente “realista” fino ad una relazione talmente lontana che non presenta più alcun interesse. Comunque sia, quello che qui si pone è un problema importante: approfondire la nozione di comportamento umano fissandone con precisione il contenuto e i limiti. E ciò potrà farsi solo studiando, dal punto di vista della psicologia concreta, il behaviorismo nelle sue diverse forme. Questo studio, d'altra parte, ci farà vedere in quale misura ciò che non è in relazione immediata col dramma può, ciò nonostante, venir studiato dal punto di vista della psicologia concreta. È infatti certamente possibile trovare nella psicologia contemporanea, anche ufficiale, dei risultati che vanno al di là del realismo e dell'astrazione — non foss'altro nella psicologia applicata. Ma per riconoscerli in modo preciso, occorrerebbe riprendere tutto il contenuto della psicologia attuale e riesaminarlo da un nuovo punto di vista. È proprio per questa indagine che sarà di importanza capitale l'esame di ciò che vi è di vivo e di morto nel behaviorismo. È questa indagine che ci farà vedere se è il caso, e in quale senso, di costituire una psicologia generale, e nello stesso tempo gli schemi e le nozioni che vengono presupposti dall'orientamento concreto di quest'ultima. 23. Così come le nostre analisi ci hanno indotto a servirci della nozione di comportamento, allo stesso modo, nelle nostre dimostrazioni, hanno svolto un ruolo fondamentale la nozione di significato e anche quella di forma. Quello che noi infatti abbiamo dato come oggetto alla psicologia concreta è il dramma. Ma il dramma comprende essenzialmente le nozioni di significato e anche quelle di forma. Proprio per questo fatto la nostra ricerca si orienta, da un lato, verso il tentativo di Spranger e, dall'altro, verso la Gestalttheorie in generale. Ed ancora ci troviamo in presenza di una tendenza la cui ispirazione è nettamente concreta, non foss'altro che per l'introduzione del punto di vista del significato e per l'abbandono dell'analisi elementare. Solo che il significato e la forma, quali essi intervengono nella psicologia concreta, non hanno affatto lo stesso significato che hanno in Spranger e nei fautori della Gestalttheorie, e, d'altra parte, occorre andare più lontano dell'abbandono puro e semplice dell'analisi elementare, perché è indispensabile che questo abbandono significhi nello stesso tempo la rinuncia alla metapsicologia. In poche parole, noi qui non abbiamo approfondito né l'idea di significato né quella di dramma, e non abbiamo neppure determinato con precisione i loro rapporti. Ma si tratta proprio delle nozioni fondamentali della psicologia concreta. Per precisarle, occorrerà dunque studiare la Gestalttheorie. 24. Tali studi dovranno, nello stesso tempo, fornici un altro risultato, che non riguarda direttamente l'avvenire della psicologia concreta, ma la stessa critica della psicologia classica. Lo studio della psicanalisi ci ha permesso di isolare un certo numero di procedimenti fondamentali della psicologia classica. Ma, affinché la critica possa fare, a proposito di quest'ultima, piena luce, è indispensabile stabilire la lista completa e l'analisi “compiuta” dei suoi procedimenti. Anche da questo punto di vista è estremamente interessante lo studio delle due tendenze di cui abbiamo appena parlato. Se infatti ciascuna di esse, in una certa misura, partecipa al concreto, quest'ultimo vi si rivela sotto aspetti diversi che nella psicanalisi. Noi possiamo dunque o scoprire quei procedimenti classici che lo studio della psicanalisi non ci ha rivelato, oppure approfondire da un nuovo punto di vista quei procedimenti che già conosciamo. E questa attesa è tanto più legittima quanto più, ad esempio, la Gestalttheorie si basa proprio sulla critica di quel procedimento classico che è l'analisi elementare. Si tratterà allora di sapere qual è esattamente il posto che questo procedimento occupa nella gerarchia dei procedimenti classici e se è sufficiente la sua negazione per la costituzione di una psicologia veramente feconda, il che ci fornirà contemporaneamente uno strumento critico di prim'ordine per giudicare certe tendenze della Gelstalttheorie. 25. Così la presente ricerca pone dei problemi che potranno venir risolti soltanto nei successivi studi che abbiamo annunciato nell'introduzione. Tuttavia una cosa è certa fin d'ora: con la psicologia concreta, la psicologia imbocca una nuova strada: quella dello studio dell'uomo concreto. Ma questo orientamento è nuovo soltanto se messo in relazione con le preoccupazioni degli psicologi ufficiali; ma in realtà non rappresenta altro che il ritorno della psicologia a quel desiderio che è la fonte prima di quella fiducia nella quale è vissuta finora anche la stessa psicologia ufficiale. Questo desiderio è il desiderio di conoscere l'uomo. Acconsentendo a fare di questo desiderio un programma scientifico, la psicologia concreta sistematizza la grande tradizione concreta che ha sempre nutrito la letteratura, l'arte drammatica e la scienza dei saggi nel senso pratico della parola. Solo che la psicologia concreta, pur avendo lo stesso oggetto, offre più del teatro e della letteratura: offre la scienza. E si approderà così ad una psicologia che non offre, come la psicologia classica, minori, bensì maggiori insegnamenti di quelli che scaturiscono dalla volgare osservazione dell'uomo. 26. Lo sviluppo della psicologia ci riserva certo grandi sorprese, poiché la storia di una scienza non può essere indovinata a priori. La psicanalisi è un inizio, nulla più che un inizio, ed occorre, ora che è stata fatta piena luce sulla sua vera essenza, proseguire le ricerche ponendosi da un nuovo punto di vista. D'altronde, dovendo il behaviorismo e la Gestalttheorie esser riformati anch'essi quasi per intero, si può dire che dal punto di vista tecnico è tutto da fare. I progressi tecnici si ripercuoteranno certamente sul modo in cui bisognerà concepire le fondamenta. Ma una cosa è certa, e cioè che è impossibile tornare indietro. La psicologia non potrà mai ritornare al realismo e all'astrazione: il problema è ormai posto su di un piano del tutto nuovo. E non potranno mai ritornare né la psicologia fisiologica, né la psicologia introspettiva, perché trovano la strada sbarrata da due ostacoli, il behaviorismo e la psicanalisi. In poche parole, e per quanto imprecise e sgradevoli appaiano le nostre formule tecniche: la metapsicologia ha ormai fatto il suo tempo ed ora inizia la storia della psicologia. |